La tornata di elezioni appena conclusa ci consegna un quadro politico ben delineato e, francamente, più confortante di quanto ci si potesse aspettare. Nessuna spallata al governo, nessuna disgregazione tra le forze di maggioranza. Volendo utilizzare un paragone calcistico, la partita tra il centrodestra e il centrosinistra finisce con un pareggio: 3 a 3. La linea condivisa da un po’ tutti gli addetti ai lavori vede il Partito Democratico rafforzato su tutti i fronti nonostante la sconfitta nelle Marche dove la vittoria di Acquaroli su Mangialardi sancisce il passaggio di consegne dal centrosinistra al centrodestra dopo venticinque anni. De Luca vince in Campania, Emiliano in Puglia. Giani supera la candidata leghista in Toscana. Zaia e Toti vengono riconfermati rispettivamente in Veneto e Liguria. Ed è quest’ultimo risultato a consegnarci una riflessione importante: quella sulle alleanze regionali. Lì, dove queste alleanze sono state forzate, i candidati hanno fatto più fatica e questo deve far riflettere. In politica, soprattutto quella regionale, i matrimoni a freddo non esistono. Le alleanze devono essere strutturate attraverso percorsi politici condivisi e non “calate dall’alto” in maniera frettolosa. Vanno costruite nel tempo. A tal proposito, in una politica sempre più orientata alle coalizioni, il Partito Democratico è l’unico attore del centrosinistra in grado di dire la sua e questo, sul lungo periodo, potrebbe iniziare ad essere un problema. Insomma, attorno al PD non c’è molto. E questo, ripeto, è un problema poiché la possibilità di costruire una colazione attorno al partito diventa complessa.
Guardando la cartina nel suo complesso, non si può non notare che 15 regioni su 20 sono in mano al centrodestra. Al nord, addirittura, solo l’Emilia Romagna di Bonaccini è a guida dem. E anche questo è un problema. Anni fa, mi fu detto che se non si governa il nord – e in particolare la Lombardia – è difficile cambiare il paese. Questo assunto, oltreché essere vero, carica noi lombardi di una responsabilità in più per quanto riguarda la nostra azione politica regionale e territoriale. Perché regioni e territorio sono strettamente connessi e non è un caso che le campagne elettorali che hanno raccolto i risultati migliori hanno coinvolto in maniera massiccia i comuni, i sindaci e le amministrazioni locali.
Per quanto riguarda il referendum, il Governo ne esce decisamente irrobustito. Ora, però, è chiaro che nell’equilibrio tra PD e 5S la forza propulsiva è la nostra. Bisogna, quindi, mettere sul tavolo le riforme sistemiche che servono. Per le altre micro riforme, auspicate dai 5S, c’è tempo. Adesso servono riforme che interessino lo sviluppo economico, l’ambiente e la green economy, il lavoro, il divario sociale, la differenza di genere e, ultima ma non meno importante, la sanità. Il Partito Democratico ha i numeri per dettare l’agenda di governo da qui fino alla fine della legislatura. Perché, al netto di impensabili cambi di rotta, non si andrà al voto prima, nonostante la – ridicola – richiesta della Lega, unica vera sconfitta di questa tranche elettorale.
Infine, voglio concludere complimentandomi con tutti i candidati sindaco che si sono dedicati con passione a questi mesi di campagna elettorale. A chi ha vinto va il mio più grande augurio di buon governo, a chi è stato eletto tra le fila della minoranza voglio esprimere il mio ringraziamento per l’impegno profuso. Ora testa al ballottaggio di Saronno.